Liberi di scegliere?
Come ci insegna l’epigenetica, gran parte del carattere e della personalità sono frutto delle esperienze e dell’interazione con l’ambiente che ha quindi il potere di “forgiarci”.
È importante quindi imparare a discriminare ciò che ci viene dall’ambiente e ciò che è innato e impulsivo, cercando di renderci autonomi nell’analizzarlo con coraggio.
La motivazione è alla base di tutto ciò che scegliamo di fare, ma se la nostra formazione è frutto dell’interazione con l’ambiente in cui viviamo e cresciamo, occorre conoscere, analizzare e sviscerare le caratteristiche di questo ambiente. Un compito estremamente difficile ma importante per comprendere e discriminare i nostri bisogni primari, quelli utili alla nostra vita e quelli indotti.
Oltrepassando i bisogni fisiologici, percepiamo (o dovremmo percepire) il bisogno di sentirci liberi di scegliere, pur coscienti che l’essere umano ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo in cui sviluppare relazioni positive.
Le motivazioni che ci portano ad agire partono da impulsi diversi tra loro, il primo (più vero e profondo) fa capo al senso del piacere di agire in relazione al sentire più profondo, il secondo è determinato dalla mancata possibilità di soddisfare parte del primo a causa del vivere sociale e quindi “mediare” il raggiungimento della soddisfazione attraverso i “comportamenti accettati”.
Il terzo (terribile) il senso di incompetenza ci porta a delegare, (questo mi ricorda una famosa canzone di Giorgio Gaber).
I vari gradi di socializzazione hanno una enorme responsabilità nella formazione della personalità che si struttura sui fattori innati, il comportamento imposto dal rispetto delle più o meno rigide regole sociali porta ad un grado variabile di interiorizzazione delle regole stesse e di conseguenza alla maggiore o minore dipendenza dalla gratificazione del premio o dalla paura della punizione.
La società moderna tende ad accentuare il bisogno di appartenenza al “gruppo più forte” e in seno a quello avere riconoscimento, visibilità, successo economico, fama, potremmo definirli bisogni indotti che pretendono in cambio la onerosa controparte dell’allineamento agli indirizzi dominanti.
Dopo alcune letture sugli aspetti sociali che riguardano la libertà individuale nei paesi industrializzati e democratici, si può giungere ad una non esilarante conclusione e cioè che ai nostri giorni, ma forse anche in passato, non abbiamo la libertà di autodeterminarci, pur con la convinzione di essere pienamente liberi di pensare e agire.
Se il libero pensiero e la piena consapevolezza di sé sono armi fondamentali per non cadere vittime dell’uniformità, è preoccupante leggere articoli sulle potenzialità che le IA possono avere a livello sociale. Come sempre il dubbio si focalizza sul corretto utilizzo più che sulle stesse scoperte scientifiche.
È davvero possibile essere vittime inconsapevoli della manipolazione a più livelli? Una domanda sconcertante a cui molti rispondono con una smorfia di incredulità.
Ricercando si trova che per i termini coscienza e consapevolezza non ci sono spiegazioni univoche, la prima potremmo definirla lo spazio mentale che ci permette di comprendere di essere nel mondo mentre la seconda ci permette di dare un significato a ciò che percepiamo, insieme le due facoltà ci permettono la relazione con il mondo.
Ma quanto possiamo essere consapevoli del nostro stato di libertà? Il filosofo greco Platone lo spiega con l’allegoria della grotta che rappresenta la realtà percepita solo attraverso la luce che entra, mentre la realtà vera è fuori. Quindi, come in un Truman show, se non siamo mai usciti dalla grotta è difficile avere la consapevolezza della realtà. Nel film Truman è inconsapevole che ogni sua scelta di vita è guidata dal creatore del programma, ed egli vive felice e inconsapevole di tutto questo. Quando inizia ad avere dei dubbi e sospettare qualcosa, non riesce comunque ad uscire dal mondo in cui è abituato a vivere, perché dominato dalle paure e dalle insicurezze che gli sono state inculcate fin dall’infanzia.
……………… la “morale” è quella della libertà dell’uomo, basata sulla sua ragione.
A conclusione del film, quando i dubbi portano il personaggio a ricercare la verità e la libertà, Truman (Tru-Man = Vero-Uomo) risponde al suo “padre-padrone”non hai una telecamera nella mia testa
E nonostante il regista creatore tenti la carta della paura come ultima chance e lo allerti sul pericolo che fuori troverà un mondo violento, ipocrita, sporco moralmente e fisicamente, a differenza del tranquillo e “disinfettato” Sea Heaven dove non ha mai avuto nulla da temere, Truman sceglie autonomamente.
Il Vero- Uomo si gira, volta le spalle al suo “padre-padrone” e apre la porticina (una “porta stretta” e buia) che conduce al di fuori degli studi televisivi.
Oggi si investono molti soldi nella manipolazione mentale e allo scopo si utilizzano gli organi di informazione (televisione in primis), ma anche la scuola, le università e molti altri ambiti. Per quanto evidente, non ci rendiamo conto di come il mondo mediatico e pericolosamente manipolatorio ci condiziona. Per quanto conosciute, almeno da alcuni, le tecniche di manipolazione mentale sono estremamente complesse e in una società controllata e manipolata come la nostra, non è compito facile spiegarle.
“Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo”
Johann Wolfgang von Goethe.
Ci troviamo a vivere tra le raffinate tecniche di manipolazione mentale e quelle di anticipazione sfruttando le IA (intelligenze artificiali).
Nessuno accetta di sentirsi descrivere come manipolato, mentre è molto più facile lasciarsi convincere di essere liberi.
…… un’aquila convinta di di essere un pollo non volerà via dal pollaio ……..
Oggi l’obiettivo dei media mira ad influire sulle decisioni, sui gusti, entra nella psiche dei cittadini, dei consumatori, dei risparmiatori, degli elettori.
Le tecniche di comunicazione hanno reso pigre le persone divenendo terreno fertile dove veicolare le informazioni commerciali, politiche ed economiche. L’attenzione viene stimolata con l’emotività attraverso i programmi di intrattenimento, che paradossalmente vengono preferiti dalle inconsapevoli (e complici) vittime.
Lo studio delle neuroscienze applicato alle tecniche di manipolazione che vengono “somministrate” attraverso la pseudo-infomazione mediatica, ha permesso di comprendere in maniera scientifica la reazione degli emisferi cerebrali in base alle modalità di somministrazione. Questo permette di indirizzare le scelte ed inquadrare le più o meno inconsapevoli vittime (cittadini) con una forma di “convincimento” fisicamente non violenta.
Il controllo (molto stretto) dell’informazione è ormai generalizzato, TV, giornali, telegiornali, radio, web, tutti i mezzi di informazione, se vogliono mantenersi in vita, “devono” riferirsi alle rare agenzie di stampa di proprietà delle grandi holding bancarie.
Il martellamento mediatico continuo e generalizzato a cui i cittadini vengono sottoposti è focalizzato su problematiche del tutto inutili nel senso dell’autodeterminazione popolare, ma emotivamente efficaci, come le scaramucce tra partiti, il problema dei rom, gli stupri, la microcriminalità, i femminicidi, ecc. Una volta riempita la testa con il gossip e altre notizie guidate, i lettori/ascoltatori sono saturi e non cercano la vera informazione, in questo modo “il sistema” dominante ottiene la collaborazione più o meno volontaria della popolazione. Chiunque voglia tentare di fare informazione libera viene soffocato, deriso, escluso, reso inoffensivo attraverso l’efficace costruzione di un’immagine negativa.
Etimologicamente il termine informazione significa “dare forma” e si riferisce al pensiero, alla coscienza di ogni cittadino. Ogni grande dittatura ha fondato il proprio successo sul controllo dei mezzi di comunicazione allo scopo di “modellare” il pensiero comune.
Nelle società basate sul consenso, una volta “formate” le coscienze, quell’informazione diventa una droga da cui è difficile staccarsi e di cui ogni vittima diventa feroce guardiano, in questo modo la governabilità va dove vuole senza bisogno di imposizione.
Tra i mezzi di formazione guidata per eccellenza si posiziona la scuola, nessuno può mettere in dubbio la sua funzione formativa ed i programmi sono finemente studiati per agire sulle fresche e modellabili menti dei bambini fino agli studenti universitari. Per un osservatore meno “coinvolto” è abbastanza facile vedere come le nuove generazioni siano molto più efficienti nell’utilizzo delle moderne tecnologie, nello studio della moderna scienza voluta ed “edulcorata”, nel puntare alla velocità e all’efficientismo tecnologico e appariscente. Purtroppo queste nuove generazioni sono molto più fragili nei confronti della vita reale e sempre più dipendenti dal “sistema” di cui non dubitano e non devono dubitare. Basta pensare alla storia, il cui insegnamento dovrebbe sviluppare un pensiero critico verso gli errori già commessi in passato al fine di evitare di ripeterli, oppure alla scienza che dovrebbe essere un mezzo per rendere la vita più gradevole da vivere ed invece insegna, per fare un esempio, che la fame nel mondo potrà essere risolta con l’utilizzo degli alimenti transgenici (OGM).
Le società del futuro hanno la strada segnata riguardo alla loro composizione, alla base, da una massa di lavoratori-consumatori-elettori ed alla testa da una élìte composta dai figli di coloro che sono già ai vertici del potere e a cui sarà riservato un livello di conoscenza privilegiato che consentirà loro di continuare a dirigere la società e mantenere il potere stabilito.
Alcune non troppo evidenti statistiche ci dicono che la ricchezza mondiale è suddivisa in maniera indefinibile: 85 persone possiedono risorse quanto i 3,5 miliardi di persone più povere l’1% della popolazione possiede oltre il 48% della ricchezza mondiale; il 19% possiede ricchezza per l’altro 46,5% del totale; l’ 80% della popolazione mondiale si divide il restante 5,5% delle risorse.1 miliardo di persone vivono con un euro procapite al giornoOltre 800.000 persone vivono nella totale indigenza (ovvero soffrono la fame).Ogni giorno muoiono per carenza di cibo oltre 24.000 persone
Negli ultimi anni la ricchezza è andata concentrandosi nelle tasche di un sempre più esiguo numero di persone.
Questi dati anziché scandalizzare l’opinione pubblica sono in qualche modo più che giustificati da una evidente distorsione mentale che va intesa come il successo dell’azione manipolatoria protratta negli anni.
Chi è capace di costruire un impero economico si merita la ricchezza, è la legge del mercato, sono le conclusioni a cui arrivano i “manipolati” divenuti poveri cani da guardia. A differenza dell’esempio di Adriano Olivetti, oggi un amministratore delegato guadagna oltre 500 volte quello che guadagna un operaio della stessa azienda e la cosa è considerata moralmente non solo accettabile, ma sacrosanta.
Nel primo dopoguerra George Orwell scriveva: “Se il benessere e la sicurezza fossero divenuti un bene comune, la massima parte delle persone che di norma sono come immobilizzate dalla povertà si sarebbero alfabetizzate, apprendendo così a pensare autonomamente; e una volta che questo fosse successo, avrebbero compreso prima o poi che la minoranza privilegiata non aveva alcuna funzione e l’avrebbero spazzata via”.
Con il senno di poi mi permetto di non condividere a pieno il pensiero di Orwell, basta guardare l’atteggiamento delle grandi masse di giovani laureati, questo significa che occorre liberare la scuola, le università, dalle “pressioni” di chi detiene il potere.
La gerarchia dei poteri. Se nel passato si conosceva chi fosse a detenere il potere, il re, l’imperatore, il capo religioso, oggi non è più così, chi detiene veramente il potere non appare mai o quasi, ma ha la possibilità di attivare tutta una serie di azioni atte a far si che chi ha la rappresentanza politica debba seguire ed eseguire i programmi decisi nelle stanze dei bottoni.
I detentori del grande potere economico hanno il possesso azionario dei maggiori canali produttivi, il petrolio, la produzione energetica, le comunicazioni, le case farmaceutiche, le fabbriche di armi, le grandi produzioni agricole (soprattutto OGM). C’é ancora chi si illude che la politica possa essere libera da questo tipo di gerarchia, purtroppo oggi non possiamo avere la diretta percezione di chi veramente comanda, in quanto il potere ha varcato i confini di ogni paese per assumere il comando a livello mondiale. Ormai sono in molti a credere che la globalizzazione sia un bene, senza rendersi conto che sta provocando uno sfacelo sociale. I luoghi comuni proiettati nella mente dei cittadini attraverso i media permettono di guidare i popoli dove i potenti vogliono.
L’interessantissimo studio delle neuroscienze, il cui cattivo utilizzo permette ai mezzi di informazione di manipolare le masse, può essere ben utilizzato permettendo a noi comuni mortali di comprendere, almeno in parte, i meccanismi con cui veniamo “indirizzati”.
Partendo dal funzionamento dei due emisferi cerebrali, che vede il loro modo di processare i dati diverso l’uno dall’altro, lineare o sequenziale quello di sinistra, simultaneo quello di destra e ognuno con funzioni specifiche rispetto all’altro. Il nostro cervello ha la capacità di elaborare un numero esorbitante di dati, anche se l’utilizzo che ne facciamo ne impegna una minima parte.
Sta a noi decidere quanto allenare le nostre potenzialità o preferire che la pigrizia intellettuale abbia il sopravvento e lasciarsi trasportare da ciò che ci viene giornalmente trasmesso.
Per obiettivi molto più banali come la pubblicità dei prodotti, siamo abituati a pensare che si tratti di semplici spot pubblicitari più o meno gradevoli, ma anche dietro a quei semplici spot ci sono un numero incredibile di esperti (psicologi, sociologi, neuropsichiatri, ecc.) che sanno associare i colori, i suoni, le immagini all’evocazione di stati d’animo così ben congegnati da spingere gli ascoltatori ad “immagazzinare” quei giusti stimoli che torneranno alla mente al momento di acquistare il prodotto. Lasciar credere all’ascoltatore di decidere in piena autonomia è il modo per portarlo alla decisione voluta, con il vantaggio che chi compra si è illuso di aver scelto liberamente.
Tra gli esempi di vecchia data possiamo far riferimento al fenomeno della capacità di percezione della visione umana cosciente che in un filmato può percepire immagini che siano presenti in almeno 12 fotogrammi per secondo.
Un’industria produttrice di una famosissima bevanda fu la prima ad inserire in alcune pellicole cinematografiche contenuti pubblicitari con delle sequenze di fotogrammi più brevi, ottenendo un incremento di vendite del 40%.
Negli anni settanta fu sperimentata la diffusione di messaggi sonori impercettibili alla parte conscia in cui si esortava a non rubare nei supermercati, ottenendo una diminuzione dei furti del 36%.
In alcune fabbriche fu sperimentato l’abbinamento di frequenze sonore a profumi e messaggi subliminali al fine di aumentare la produttività e migliorare il rapporto (sottomissione) lavoratori-azienda.
I creatori di immagine che costruiscono la notizia, sono in grado di rendere accettabile al pubblico qualunque azione attraverso una manipolazione dell’informazione (associazione e ripetizione), come ad esempio etichettare una guerra come umanitaria, missili intelligenti, democratizzazione, sicurezza collettiva, ottimizzazione.
E siccome si dice che una bugia raccontata tante volte acquisisce il valore di verità, la ripetizione di un messaggio, di uno spot, se diventa pervasiva, se avviene molte volte al giorno, può far assorbire il contenuto, le implicazioni del messaggio stesso come se fossero un fatto provato, anche se non lo sono.
Allo stesso modo si può ottenere il risultato opposto quando l’obiettivo è quello di delegittimare, screditare, criminalizzare le iniziative, le persone, le idee non gradite, applicando denominazioni negative (antisemita, negazionista, revisionista, complottista, terrorista).
Le modalità sono sempre le stesse: gli stimoli ripetuti adeguatamente tendono a formare schemi inconsci nelle persone.
Ma la manipolazione si presta anche ad azioni ancora più gravi, come l’ottenimento del consenso popolare verso cambiamenti, riforme, leggi, restrizioni di libertà, guerre o altro ancora, attraverso lo shock diffuso sulla popolazione. Un esempio di questo é stato il crollo delle torri gemelle legato alla repressione e alle guerre che ne sono scaturite. Si sfrutta la reazione allo spavento come enorme fattore di distrazione e paralisi di massa, inibitore di possibili reazioni e resistenze. Lo shock diffuso viene prodotto da epidemie, pandemie, recessioni, crisi economiche, crolli della borsa, fallimenti, guerre, colpi di stato.
Per chi si è già reso conto in quale realtà stiamo vivendo si presenta una domanda pesante: cosa fare? Beh intanto il rendersi conto della reale situazione è un buon passo, sul cosa fare occorre confrontarsi e mettere insieme le idee più efficaci che i vari gruppi riescano ad elaborare. Staccarsi dalla TV e dai media in genere, cercare di restare collegati con gruppi che condividono la stessa filosofia, creare sinergie che portino a scelte di vita importanti, ma soprattutto efficaci nella difesa dell’autodeterminazione.
Il diritto all’autodeterminazione fu riconosciuto a livello internazionale a seguito del processo e della sentenza di Norimberga da cui nacque il Codice di Norimberga. Nel nostro ordinamento giuridico trova fondamento negli art. 2, 13 e 32 della Costituzione.
La stratificazione del potere
Che non siamo tutti uguali, che c’è chi ha di più e chi ha di meno, e che questo rende sin dall’inizio i nostri destini diversi è una realtà inconfutabile al di là di qualunque teoria.
All’inizio, nella preistoria, l’uomo non aveva classi sociali di appartenenza, ma già dalle prime organizzazioni in tribù iniziarono a delinearsi ruoli che in seguito si sarebbero trasformati nella suddivisione in classi.
Il mondo antico vide una netta suddivisione tra una certa élite sociale e la condizione di schiavitù. Nell’era romana le grandi classi sociali erano due: i patrizi, aristocratici proprietari terrieri, e i plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall’esercito. I patrizi avevano l’accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi. Nel quarto e quinto secolo dopo Cristo si struttura il potere della Chiesa che si incrementerà fino a diventare un centro di potere trasversale stabile nel tempo. Nel periodo del feudalesimo l’élite aristocratica dominava sui contadini e lavoratori agricoli.
L’industrializzazione ha spostato verso i centri industriali i contadini che sono andati a formare quella grande classe denominata proletariato. Oggi si può ancora parlare di proletariato? Probabilmente occorre un altro nome ma la sostanza cambia di poco, anzi, rispetto al secolo scorso la forbice tra ricchi e poveri si è ulteriormente aperta e l’incremento numerico dei secondi sale costantemente.
Moltissimi autori affrontano il tema delle classi sociali e tra questi una visione abbastanza particolare ed in parte reale è quella del filosofo Probhat Ranjan Sarkar, che vede alla base della formazione delle classi sociali il carattere e la psicologia degli elementi che vanno a formare la sua particolare classificazione.
A differenza di quanto esposto da Marx che ipotizzava2 classi sociali in base alla condizione economica dei rispettivi gruppi, proletariato e borghesia, P.R. Sarkar identifica, tra tutte le sfaccettature delle variazioni nella psicologia collettiva, 4 gruppi fondamentali di mentalità o classi psicologiche che naturalmente non sono mai assolute ma si integrano in ognuno di noi:
Psicologia del lavoratore – Si accontenta di lavoro, famiglia, salarioe non ha aspirazioni filosofiche. La sua mente dipende dall’ambiente. Non riesce a influenzare l’ambiente circostante.
Psicologia del guerriero – Affronta le difficoltà imposte dalla natura con l’uso della forza fisica, il coraggio, l’onore. In questa classe psicologica troviamo gli avventurieri, gli sportivi, i militari …
Psicologia dell’intellettuale – Affronta le difficoltà imposte dalla natura con l’uso dell’intelletto. In questa classe troviamo scienziati, insegnanti, artisti, monaci, studenti…
Psicologia dell’affarista – Non vuole godere degli oggetti materiali, ma trova soddisfazione al pensiero di accumularli. Troviamo affaristi, commercianti, banchieri…
Secondo Sarkar nel tempo queste classi hanno dominato la scena iniziando dalla fase primitiva dei lavoratori, passando alla fase dei guerrieri quando capotribù diventa l’uomo più forte del clan. Poi diventa re e imperatore. Ma il ministro del re o dell’imperatore o l’ecclesiastico di turno controlla,con il suo intelletto più arguto, la vita e le gesta del sovrano. Si passa con l’avvento della Chiesa al dominio incontrastato degli intellettuali. Con la rivoluzione industriale lo scettro passa di mano ai gestori del denaro, gli affaristi o accumulatori.
Ognuna di queste ere sociali porta con sé strutture e modalità proprie: architettura, codici sociali, rapporti interpersonali, dogmatismi, obiettivi, ideali, costumi, giustizia, economia, istituzioni.
Sarkar fa notare come i guerrieri sottomettano la truppa, come gli intellettuali dominino sui guerrieri che dominano, a loro volta, sui lavoratori/soldati e come gli affaristi sfruttano tutte le classi sociali per i propri interessi economici. Quindi la storia è una sequenza di continuo sfruttamento della classe dominante nei confronti di tutte le altre classi sociali.
A fronte delle diverse visioni occorre essere coscienti di quanto e come sia cambiata la società e di come oggi si possa parlare di classi sociali.
Il capitalismo strutturatosi con l’avvento dell’industrializzazione, oltre al forte arricchimento degli industriali, ha disumanizzato gli individui che sono andati a formare la classe del proletariato dando vita ad una società dominata dal lavoro in funzione del denaro e vigilata da un crescente apparato burocratico che tende ad alterare i rapporti tra le persone.
Il potere non è solo esercitato da una classe sull’altra ma si esprime in ogni livello della società che vede nascere una certa resistenza da parte di coloro che il potere lo subiscono.
Nel medioevo il potere veniva esercitato con la tortura e le punizioni pubbliche per costringere i sudditi all’obbedienza, giungendo all’era industriale i mezzi adottati per “guidare” le masse furono le carceri, i manicomi, ma anche le scuole.
Il convincimento andò man mano a sostituirsi alla punizione ottenendo una forte riduzione della resistenza e facilitando la gestione del potere.
Il veloce e forte arricchimento economico delle nazioni industrializzate ha visto la nascita di quel processo chiamato capitalismo globale che, valicando i confini nazionali, instaura il sistema di sfruttamento delle nazioni povere ostacolandone lo sviluppo. Mentre nelle nazioni dominanti industrializzate la possibilità di una formazione culturale diffusa attraverso le scuole e l’università permette un avanzamento scientifico, ma anche sociale, le nazioni dominate non possono avere accesso alla cultura.
La globalizzazione impone le forme culturali sviluppatesi nei paesi industrializzati come le uniche a cui tutti devono uniformarsi, distruggendo culture e tradizioni millenarie e promuovendo il fenomeno dello spostamento di grandi masse dai paesi dominati verso quelli industrializzati. L’immigrazione e la delocalizzazione del lavoro portano con se enormi problemi per le classi medie dei paesi dominanti che perdono progressivamente il loro potere contrattuale. Questa nuova situazione vede la trasformazione sia del proletariato che della media borghesia in quella classe oggi denominata precariato.
Per le classi dominanti la possibilità della crescita culturale popolare diventa un ostacolo da combattere, sia limitandone l’accesso, ma soprattutto trasformando la cultura in una sorta di “informazione senza significato”.
Complici diabolici di questo processo i media, che attraverso la semplificazione e la manipolazione unite alla ridondanza dell’informazione la rendono credibile attraverso la continua ripetizione. L’enorme quantità di informazioni, impossibili da acquisire e metabolizzare, stimola la ricerca della semplificazione che i media forniscono su un piatto d’argento.
L’industria si è adeguata ai nuovi assetti economici globali e la delocalizzazione della produzione nelle sue varie forme ha forzatamente trasformato la vecchia classe operaia che, come già scritto, da proletariato potremmo oggi individuare come precariato. Sono venuti meno i diritti sindacali conquistati con tanta fatica (a volte male utilizzati). Di questa “nuova” classe fanno parte gran parte di coloro che hanno perso il lavoro, gli studenti che una volta diplomati o laureati non trovano sbocco nel mondo del lavoro, gli immigrati, i ragazzi che hanno scelto di non studiare ma che comunque trovano occupazioni più o meno occasionali. Un esercito talmente eterogeneo con aspirazioni estremamente diverse che spesso si scontrano tra loro. La parte con scarsa istruzione, facile preda della politica “conservatrice”, i giovani istruiti che non trovano riscontro alle aspirazioni che scuola ed università avrebbero dovuto soddisfare, gli immigrati che si scontrano con una realtà completamente diversa dal mondo patinato che era stato loro presentato. Un esercito di delusi che vivono una condizione esistenziale frustrante, un “recinto” che filtra lasciando passare solo coloro che sgomitano con maggior determinazione e violenza. La lotta si sposta da quella di classe a quella del personale riconoscimento sociale, le teorie marxiste si sono trovate ad essere il bersaglio sia dei conservatori che dei progressisti andando verso una società dell’ognuno per se e Dio per tutti. Il concetto di classe è stato quindi criticato e considerato socialmente angusto e politicamente superato, lasciando spazio ad una serie di condizioni sociali eterogenee difficilmente classificabili.
La crescente ed affermata cultura individualista si contrappone alla cultura egualitaria etichettandola come vecchia e sorpassata, questo ci riporta al vecchio uso del “dividi ed impera” che facilita il compito alle classi dominanti.
Se il potere si era già nel tempo stratificato, adesso trova la possibilità di capillarizzarsi in ogni ambito lasciando sempre meno spazio ad una lotta per i diritti sociali.
Concludo cosciente che trattare questo argomento è un’impresa titanica e di non poter essere assolutamente esaustivo, con la famosa citazione di Aldous Huxley
“ la dittatura perfetta avrà la sembianza di una democrazia, una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù ”.